Ci sono anni in cui il proprio vissuto ci trasforma e qual fiume in piena, i pensieri e desideri, a lungo repressi, prorompono impetuosi a volte inconcludenti, ma, almeno per me, molto propositivi. I mie propositi per quell'anno balordo, eravamo nel 1997 - 98, di cui vi accennai in un precedente post, erano concentrati nel metabolizzare e possibilmente dare voce alla solitudine di cui non mi ero ancora affezionata.
La voce della solitudine, un ringhio silente, che mi accompagnò durante l'elaborazione di questa metafora, scaturita mentre passeggiavo sulle Rive di Trieste, un freddo pomeriggio di diciassette anni fa.
La solitudine
gran brutta belva!
Che con i suoi occhi di ghiaccio
mi rende tremante
e mi riduce in cattività.
A volte diventa ringhiante
e con i suoi artigli
m'attanaglia,
strappandomi a brandelli
il cuore, che,
sanguinante inaridisce
e non potrà più
scaldarsi d'amore.
C'è chi è riuscito
a domarla,
rendersela amica,
compagna d'avventura.
Quel felice mortale
ha trovato la chiave
per accedere
al regno della fantasia...
o meglio sarebbe dire
... della follia?