Possiedo una pagina su Facebook e ogni qualvolta mi sposto sulla home page del frequentatissimo sito, m’imbatto su delle ”simpatiche” foto umoristiche in cui i vari rappresentanti del nostro parlamento vengono derisi e, a volte, insultati. Senza contare le richieste di condivisione di tali derisioni e le varie bufale. A mio avviso mi guarderei bene di diffondere tali, a volte divertenti, insulti. Ma ciò da cui scappo come dalla peste, sono dagli insulti rivolti a terzi, di chi pensa che le pagine Facebook, ma anche Twitter, servono a tale scopo.
“Insultare qualcuno sulla propria pagina Facebook può essere considerato “un delitto di diffamazione aggravato dall’avere arrecato l’offesa con un mezzo di pubblicità” equiparato “sotto il profilo sanzionatorio alla diffamazione commessa con il mezzo della stampa”.
Lo stabilisce una sentenza del tribunale di Livorno, come riferisce Il Tirreno, le cui motivazioni sono state depositate nei giorni scorsi. Secondo la sentenza, Facebook ha una “diffusione incontrollata”. Esprimersi su Facebook implica quindi una “comunicazione con più persone alla luce del cennato carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde la manifestazione del pensiero del partecipante che entra in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti e quindi la Conoscenza da parte di più persone e la possibile sua incontrollata diffusione”. E’ con questa sentenza che è stata condannata una ragazza di 26 anni per le ingiurie all’ex datore di lavoro“.
Ecco cosa dice l’articolo 594 del codice penale:
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Il re dei reati commessi con i social network è però quello di diffamazione, previsto dall’articolo 595 del codice penale:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.